martedì 28 giugno 2011

Roma città più povera d’Italia, l’analisi della Nieddu


La viceresponsabile per il Lazio dell’Italia dei Diritti: “Lo Stato è sempre meno uno Stato sociale, ne è comprova l’ultima finanziaria approvata, che prevede profonde penalizzazioni per le politiche sociali”

Roma - La Comunità di Sant’Egidio parla chiaro: Roma e Lazio sono teatro di una povertà profonda e dilagante. Nella sola Capitale, centomila persone vivono sotto la soglia di povertà ed il tasso di disoccupazione è superiore alla media nazionale.


“I problemi riscontrabili nel rapporto sulla povertà a Roma e nel Lazio elaborato dalla Comunità di Sant’Egidio – osserva Anna Nieddu, viceresponsabile per il Lazio dell’Italia dei Diritti -, che lavora capillarmente sul territorio ed alla quale va, quindi, la massima credibilità, non sono solamente regionali bensì investono l’intero paese. Roma, essendo una grande città e sostanzialmente di passaggio anche per molti immigrati, presenta una criticità maggiore”.

I dati recentemente diffusi, rivelano la città eterna prima nella lista nera degli sfratti. Ogni giorno, sono ventotto i nuclei familiari sfrattati per morosità nel pagamento degli affitti.

“Mentre una piccola parte della popolazione gode di innumerevoli privilegi, la maggior parte dei cittadini è in difficoltà – continua l’esponente del movimento presieduto da Antonello De Pierro -. Lo Stato è sempre meno uno Stato sociale, ne è comprova l’ultima finanziaria approvata, che prevede profonde penalizzazioni per le politiche sociali. Inoltre, le piccole e medie imprese devono fare i conti con il fenomeno della delocalizzazione, che fa aumentare proporzionalmente la disoccupazione. D’altra parte occorre sottolineare l’enorme sforzo compiuto dall’assessorato alle Politiche Sociali della Provincia di Roma, che cerca di far funzionare le cose anche senza denaro. E’ la grande solidarietà sociale – precisa la Nieddu -, che garantisce ancora quel poco di assistenza. La straordinaria capacità di persone che si prestano a lavorare come volontari, apportando un grande contributo umano, non può colmare l’enorme carenza di risorse finanziarie”.

mercoledì 22 giugno 2011

Approvato nel Lazio fondo per alluvionati 2010, Marinelli commenta


Il responsabile per il Lazio dell’Italia dei Diritti: “Temiamo che tali fondi anziché favorire politiche di sviluppo, andranno a servire e soddisfare in partegli appetiti irrefrenabili di tutta quella pletora di soggetti che campa sulle spalle del contribuente”


Roma – La proposta di legge che istituisce un fondo di un milione e mezzo di euro per i danni conseguenti alle alluvioni del maggio 2010 è stata approvata all’unanimità dalla commissione Lavori pubblici e politiche della casa del Consiglio regionale del Lazio. I provvedimenti riguardano i Comuni di Casaprota, Montopoli in Sabina, Monteleone Sabino, Poggio Moiano, Poggio Nativo, Fara in Sabina, Scandriglia, Nerola, Palombara Sabina, Montelibretti e Castelnuovo di Farfa. Il fondo riguarderà tre tipi di interventi: contributi ai Comuni e alle Province di Roma e Rieti; contributi ai soggetti gestori di servizi pubblici locali di rilevanza economica; contributi a fondo perduto alle imprese per favorire la ripresa delle attività produttive, commerciali e artigianali. Prima dell’approvazione definitiva la proposta di legge dovrà avere il via libera dalla commissione Bilancio. Sarà necessario, inoltre, un regolamento per disciplinare le modalità di erogazione dei contributi.

Vittorio Marinelli, responsabile per il Lazio dell’Italia dei Diritti, ha così commentato: “Sulla carta il provvedimento sembrerebbe anche condivisibile, se non fosse che paghiamo lo scotto di essere permeati in toto di cultura cristiano-cattolica. Tale religione ci insegna che paghiamo la colpa ab origine del cosiddetto ‘peccato originale’ anche in Italia e quindi nel Lazio. Ogni stanziamento pubblico in realtà, per rimanere in iconoclastica cristiana, serve per preparare il presepe e, in particolar modo, la mangiatoia. Temiamo, dunque, che tali fondi anziché favorire politiche keynesiane di sviluppo, andranno a servire e soddisfare in parte, e solo in parte, gli appetiti irrefrenabili di tutta quella pletora di soggetti che campa sulle spalle del contribuente, grazie agli accordi clientelari con i vari politici.
Forse – continua l’esponente del movimento presieduto da Antonello De Pierro – dovremmo essere più leghisti dei leghisti e chiedere un commissario settentrionale e non della Val Brembana o della provincia di Bergamo, ma oriundo di Stoccolma o di Oslo. Sono quelle felici nazioni, infatti, dove i fondi pubblici vanno a finire veramente per il pubblico e non come in Italia in vari mali affari. Speriamo quindi – conclude Marinelli – che in futuro non solo sulla carta questi provvedimenti siano validi”.

venerdì 10 giugno 2011

Costi alle stelle per acqua a privati nel Lazio, commenta la Nieddu


La vice responsabile regionale dell’Italia dei Diritti:
“Attorno alla gestione del servizio idrico ruotano intrecci fra politica e imprenditoria privata, come testimoniano le vicende di Latina dal 2002 ad oggi”


Roma - La privatizzazione dell’acqua ha portato una stangata alle famiglie, soprattutto quelle laziali, che segnano un aumento oltre la media nazionale, fino al 200%. Lo rivela una denuncia di Cittadinanza attiva dalla quale si evince che, secondo gli ultimi dati pubblicati, nel Lazio si registrano incrementi in bolletta che superano la media nazionale: +11,9% contro il 6,7%. Commenta questi dati Anna Nieddu, vice responsabile regionale dell’Italia dei Diritti: “Questi rincari mostrano la tendenza a degenerare, di una situazione già grave e, in quanto tale, avversata e combattuta da anni, a quanto pare però, inutilmente”.
“Il problema principale – continua la Nieddu – sta nei grandi interessi che ruotano attorno alla gestione del servizio idrico ed agli intrecci fra politica ed imprenditoria privata, come le vicende di Latina dal 2002 ad oggi illustrano efficacemente. Per non parlare dei complessi episodi societari in cui si spartiscono percentuali di gestione di un bene naturalmente pubblico”.
La referente regionale del movimento fondato da Antonello De Pierro sostiene che, a fronte dei rincari delle tariffe, “i gestori non hanno dato attuazione ai piani di investimento previsti per la creazione e la manutenzione delle infrastrutture idriche e fognarie e, se pochi sono stati, in questi anni, i lavori cantierati, ancora meno sono quelli ultimati ed efficienti”.
“Al danno si aggiunge la beffa – incalza la Nieddu - della presunta riduzione dell’impegno finanziario da parte degli enti pubblici, sdoganata come punto di forza della privatizzazione. Comuni e Regione hanno continuato a stanziare cifre enormi, pur a fronte dei limitati investimenti realizzati dalla società di gestione”.
L’esponente dell’organizzazione extraparlamentare torna a puntare il dito sull’importanza dell’imminente weekend elettorale: “Non resta che attendere l’esito del referendum, con l’augurio che sia positivo e consenta di scardinare le ulteriori difficoltà alla pubblicizzazione dell’acqua introdotte da Tremonti nel 2008”.